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Home Bene comune Cambiare si può

Obsolescenza programmata e stupidità economica: le soluzioni

by Roberto Lessio
19 Giugno 2021
in Cambiare si può, Economia circolare, Lavoro e Occupazione, Nuove imprese, Usare bene le risorse
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Obsolescenza programmata e stupidità economica: le soluzioni
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La celebre frase di Albert Einstein “Conosco solo due cose che sono infinite: l’universo e la stupidità umana, … ma sulla prima ho ancora dei dubbi”, vale anche per l’economia lineare. Quella che ha previsto che ogni cosa debba essere programmata per rompersi e diventare perfettamente inutile subito dopo l’uso iniziale (reso molto attraente dalla pubblicità) con la cosiddetta obsolescenza programmata dei prodotti di consumo. Una filosofia che ha avuto nel concetto dell'”usa e getta” la sua massima divulgazione e che sta determinando ancora oggi la perdita irreversibile di risorse sempre più rare del nostro pianeta. Tipo i cellulari che non possono essere riparati perché il loro involucro è sigillato. Questo fatto è determinato da una logica molto stupida, che in Natura non esiste: una volta montato un oggetto non può più essere smontato. Pur di diventare sempre più ricchi e il più velocemente possibile, gli esseri umani che governano l’economia mondiale hanno previsto che ogni cosa, anche se funziona perfettamente e che ci da il supporto tecnico più congeniale al nostro lavoro (come il computer che sto utilizzando in questo momento per scrivere e impaginare questo articolo), prima o poi deve diventare roba “vecchia”, superata e inservibile. E poco importa se poi per ottenere e recuperare le materie prime di cui sono fatte si compiuno ulteriori crimini verso l’umanità. Tipo in Congo, dove i signori della guerra usano il lavoro degli schiavi per estrarre il cobalto che viene utilizzato per la produzione mondiale delle batterie dei cellulari. Oppure i bambini del Bangladesh, che sono costretti ad immegere a mani nude i circuiti stampati di apparecchi elettronici in vasche aperte di acido per ottenere qualche grammo al giorno di rame e di oro. Ma siccome questa stupidità economica è ormai arrivata al capolinea (almeno noi cosi speriamo), occorre sempre di più usare la biologia per reinventare il modo in cui produciamo le cose. E in biologia, non solo non esiste il concetto di obsolescenza, ma neanche quello di rifiuto. Men che meno quello di rifiuto tossico e nocivo per la propria salute personale e per quella generale. Occorre in sostanza aggiungere un altro anello mancante nella strada che ci porta nell’era dell’economia circolare: contestualmente alle catene di montaggio delle nostre cose, occorrerà allestire sempre di più apposite catene si smontaggio delle stesse cose. Esattamente come succede nella sfera biologica e in natura, si devono trovare i modi per rimettere in circolazione i materiali che compongono le cose, creando valore aggiunto al posto dell’inquinamento e della depauperazione delle risorse. Anche in questo caso, più che di tenui speranze, abbiamo a disposizione molte certezze.

Già da alcuni anni un gruppo di giovani ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, sede di Latina, in Italia, coordinati dalla professoressa Silvia Serranti (direttrice del Museo di Arte e Giacimenti Minerari) ha realizzato una serie di studi e metodi che sono in grado di rivoluzionare il riciclo dei materiali, rendendolo ancora più conveniente. Hanno messo a punto dei modelli matematici per rendere più veloce, più efficace e più redditizia la raccolta differenziata, con le tecnologie di analisi d’immagine iperspettrale (HSI). Ciò consente di vagliare in automatico i materiali con speciali sensori e di controllarne e certificarne la qualità. Una risposta al grosso problema di dover avere materiali uguali ben separati. Ossia non mischiati con altri quando si rivendono ai riciclatori, ma anche quando finiscono negli antieconomici e nocivi inceneritori. Ad esempio, le plastiche si assomigliano tutte, ma sono molto diverse tra loro. Poterne fare un rapido identikit è un progresso enorme, con una migliore qualificazione dei prodotti ricavati. Questi metodi riguardano anche i preziosi metalli contenuti all’interno delle apparecchiature elettroniche e questo potrebbe essere quello che potremmo definire il primo passaggio della catena di smontaggio.

Come secondo passo occorre poi programmare, non l’obsolescenza, ma che cosa possiamo fare di un oggetto o di una cosa quando la sua funzionalità rischia di essere superata dall’avvento di un nuovo prodotto nello stesso settore di mercato. Anche se non possiamo preservarne completamente la sua funzionalità, almeno possiamo programmarne la sua “smontabilità” in un modo semplice. Qui ci viene in soccorso la riscoperta fatta dall’imprenditore canadese Peter Holgate, fondatore e amministratore della “Ronin8 Technologies”, di una tecnologia che a suo tempo era stata costruita per uno scopo completamente diverso. Si tratta di un enorme “diapason”, che usando l’energia meccanica dei suoni è in grado di individuare l’oro nelle miniere ormai in fase di esaurimento. Peter ha scoperto che questo strumento è in grado di separare efficacemente i metalli dei circuiti stampati utilizzando la cosiddetta “risonanza armonica”. Si evita in questo modo di ricorrere alla vecchia modalità di separazione, quella del forno al plasma, che richiede una grande quantità di energia termica e pertanto risulta costosissima e altamente inquinante. Peter e i suoi partner quindi hanno pensato di fondare una società, la “Ronin8”, specializzata nel dare nuova vita ai vecchi circuiti elettronici di computer, monitor, telefoni cellulari, ecc. Questi apparecchi vengono prima triturati in acqua per non generare polveri tossiche e poi immessi nella macchina dove, una volta separati i materiali di assemblaggio (per lo più plastiche) ogni metallo, inclusi quelli rari, viene separato in base alla propria armonia. In questo modo vengono selezionati 21 metalli diversi e gli unici due “ingredienti” utilizzati sono il suono e l’acqua. Quest’ultima viene sistematicamente purificata e riusata nel ciclo di separazione. Secondo il fondatore della società, il processo funziona anche per recuperare i vecchi pannelli solari, anch’essi costruiti con un concetto che non ne prevedeva lo smontaggio. Allo studio c’è anche la possibilità di recuperare il litio, componente di base della maggior parte delle batterie che si producono al mondo, in particolare quelle delle automobili. Non ultimo bisogna considerare l’importante risvolto etico e sociale: questa tecnologia può essere utilizzata da chiunque, permettendo cosi ai bambini del Bangladesh di andare a scuola, invece che immergere tutto il giorno le loro mani nell’acido e agli operai delle miniere di cobalto del Congo di non essere più schiavizzati.

Leggi anche su questo sito:

Soluzioni basate sulla Natura: la difficile sfida delle bioplastiche

Riciclo biologico dei gas serra per ottenere plastiche biodegradabili

 

Tags: nuove impreseusare bele le risorse
Roberto Lessio

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