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Home Emergenza climatica Energie rinnovabili

Il bio-frigorifero

aowia, giovane ingegnere marocchina, ha risolto il problema di come conservare i cibi dove non c’è elettricità e fa molto caldo, unendo scienza e tradizione

by Roberto Lessio
1 Agosto 2020
in Emergenza climatica, Energie rinnovabili
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Il bio-frigorifero
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Argilla per conservare alimenti e farmaci. È la trovata di una ragazza ingegnere che dalla terra e dalla tradizione del suo popolo ha trovato una geniale, quanto ecosostenibile, soluzione all’impossibilità di mantenere il cibo dove non c’è elettricità né elettrodomestici.
Un caso davvero insolito di start up, come in gergo vengono chiamate le giovani aziende che lanciano idee e tecnologie innovative: stavolta, infatti, non ci sono software, niente elettronica né informatica. E, addirittura, niente corrente elettrica.
Di solito è in estate che dobbiamo affrontare il problema del raffrescamento degli ambienti dove viviamo e lavoriamo, ma gran parte degli strumenti e degli elettrodomestici che utilizziamo tutti i giorni, anche quelli più piccoli, necessitano sempre di temperature relativamente basse per funzionare al meglio.
Ad esempio, tutti i computer, anche quelli portatili e persino il nostro telefono cellulare, dispongono di  sistemi per dissipare il calore che si azionano automaticamente dopo un uso prolungato.
A costo di ripeterci, bisogna sapere che proprio questo è il motivo principale delle enormi differenze esistenti tra i Paesi ricchi e quelli poveri: il mancato accesso alle fonti di energia e all’elettricità, infatti, rendono estremamente difficoltose alle comunità con basso reddito le potenzialità che a noi appaiono ormai scontate.

NON POTER CONSERVARE I CIBI CREA POVERTÀ
Negli ambienti scientifici è ormai convinzione comune che l’impossibilità di limitare i danni economici dovuti alle perdite dei prodotti deperibili, oltre alla prevenzione dei rischi per la salute, è il principale fattore che continua a creare condizioni di povertà nelle popolazioni che ne soffrono, in particolar modo tra quelle che vivono nelle zone rurali.
Parliamo della necessità di conservare a lungo gli alimenti (frutta, verdura, carni e latticini) oltre alle medicine deperibili. Queste ultime hanno bisogno di essere conservate a temperature basse per restare efficaci nel tempo: l’insulina che i soggetti diabetici sono costretti ad assumere quotidianamente per poter sopravvivere, è uno di questi. Altra ripetizione necessaria: anche la conservazione è un’incombenza che nelle comunità povere del pianeta è a carico soprattutto delle donne.
Ed era proprio di questo dovere che doveva occuparsi quotidianamente anche Raowia Lamhar, una giovane ragazza marocchina, quando stava completando il suo quinto anno di studi di ingegneria.
LA SCOPETTA DI RAOWIA
Nel corso di una visita sul campo effettuata nel 2014 dal team di Enactus, ONG collegata alla Facoltà di Scienze e Tecnologie di Mohammédia (vicino Casablanca), Raowia si è accorta che dodici delle 36 famiglie che vivevano nel villaggio rurale non possedevano frigoriferi per motivi economici o a causa della mancanza di elettricità nella loro area.
Queste famiglie erano costrette a conservare gli alimenti nei frigoriferi dei loro vicini o a ridurre il loro consumo di frutta e verdura da 5 a 6 chili a settimana. La conseguenza era una dieta del tutto sbilanciata, perché questi cibi deperibili, molto importanti per la cosiddetta dieta mediterranea, potevano essere consumati solo dopo uno o due giorni dall’acquisto al mercato, mentre per il resto della settimana c’erano a disposizione solo legumi, patate e amidi vari. In alcune regioni del Marocco, poi, dove le temperature possono raggiungere livelli superiori a 50 gradi in piena estate, la mancanza di tecniche di refrigerazione può rivelarsi pericolosa per la vita.
La studentessa marocchina ha così deciso di verificare le caratteristiche di un particolare tipo di argilla esistente nel suo Paese. Lo spunto le è stato fornito dalla storia di un certo Ahmed, un diabetico entrato in coma per quattro giorni perché aveva usato dell’insulina deteriorata dalle alte temperature. L’uomo è poi sopravvissuto ed ha dato lo spunto a Raowia per sviluppare un frigorifero naturale, che si ispira alla Khabia, il vaso di argilla marocchina che raffredda l’acqua potabile.

LA START UP… SENZA HI TECH
Ricorrendo a particolari tecniche di costruzione che fanno dissipare il calore dall’interno verso l’esterno (il raffreddamento evaporativo), in sostanza il frigo creato dall’intraprendente ragazza determina le medesime condizioni di funzionamento dei nostri frigoriferi domestici, senza necessità di ricorrere all’energia elettrica. Il meccanismo è grosso modo lo stesso con il quale fin dall’antichità tutti i popoli riuscirono a creare il ghiaccio perfino in aree desertiche (vedi riquadro). Questo frigorifero naturale, che si chiama “Fresh’It”, realizzato in collaborazione con un vasaio locale, è fatto con il design ancestrale della cultura marocchina e delle zone sahariane, permette alle famiglie un risparmio anche del 20% sull’acquisto del cibo.
Per sviluppare la sua scoperta Raowina ha poi creato un’impresa sociale, la Go Energyless, che significa grosso modo “Verso l’assenza di energia”.
Lei stessa è l’amministratrice di questa azienda, che si propone di fornire questi frigoriferi proprio alle comunità a basso reddito o che non hanno accesso all’elettricità. Il frigorifero fatto di argilla infatti dà all’utente la possibilità di conservare i prodotti alimentari e le medicine deperibili (tipo l’insulina) per un periodo che va da circa 10 a 15 giorni, a seconda delle condizioni climatiche. L’azienda è in fase di vorticosa espansione: oggi è in grado di creare appena 50 pezzi al mese che vengono tutti venduti prima ancora di essere prodotti.

IL MITTI COOL MADE IN INDIA
Mansukh Prajapati, è un artigiano indiano che a sua volta ha inventato un frigorifero di argilla (Mitti Cool) che funziona con il principio del raffreddamento evaporativo e senza bisogno di alimentazione elettrica: tra l’altro non necessita di alcun tipo di manutenzione, tranne che una periodica pulizia. Il suo prodotto è stata una piccola grande svolta per vari villaggi rurali dell’India.

LE GHIACCIAIE DI UNA VOLTA
Fin dal quarto secolo a.C., nella regione centrale dell’Iran caratterizzata da aree desertiche, furono costruiti centinaia di Yakhchāl: ghiacciaie fatte di un materiale chiamato sārooj (una malta impermeabile composta di argilla, calcare, paglia e albume d’uovo) caratterizzato da alta resistenza termica. Il ghiaccio inizialmente veniva riportato d’inverno dalle vicine montagne. Queste strutture, tutt’oggi esistenti, funzionano a loro volta con il meccanismo del raffreddamento evaporativo: permettono di avviare un processo di formazione autonoma di ghiaccio, che poi viene utilizzato d’estate per conservare il cibo ed ottenere acqua fresca.  Strutture del genere esistono anche nella Corea del Sud (Gyeongju Seokbinggo: letteralmente “pietra per lo stoccaggio del ghiaccio”) e in altre parti del mondo. Due antichi edifici adibiti alla conservazione degli alimenti tramite refrigerazione, le “ghiacciaie di Boboli”, sono tutt’oggi presenti nel giardino di Palazzo Pitti a Firenze, dove si trova anche la ghiacciaia delle Cascine dalla caratteristica forma piramidale. Anch’esse, ovviamente, funzionavano senza elettricità.

Tags: biociboelettricità
Roberto Lessio

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