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Home Alimentazione e Salute Agricoltura Biologica

Alimenti per i bambini nutrienti e non inquinanti

Come sostituire il consumo di carne e latte di origine animale, creando anche nuove opportunità per le aziende agricole

by Caroline Susan Payne
19 Novembre 2020
in Agricoltura Biologica, Alimentarsi bene, Alimentazione e Salute
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Alimenti per i bambini nutrienti e non inquinanti
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(con la collaborazione di Roberto Lessio)

Nel mondo si consumano 312 milioni di tonnellate di carne all’anno, che corrispondono a una media di quasi 43 kg annui per abitante (fonte: statistiche FAO 2014), ma questo dato potrebbe stravolto in pochissimo tempo, anche a causa del Covid 19. Il rapporto pubblicato recentemente dall’organizzazione americana Rethinkx sostiene che “entro il 2030, la domanda di prodotti derivati da bovini diminuirà del 70%, ma prima di raggiungere questo punto, l’industria del bestiame statunitense finirà in bancarotta. Entro il 2035, la domanda di questi prodotti scenderà ulteriormente all’80-90%, ma anche gli altri mercati del bestiame come quello del pollo, del maiale e del pesce seguiranno una traiettoria simile”. A soffrire di più di questa crisi dovrebbero essere soprattutto la carne di manzo macinata (con una riduzione stimata del 70%), quello delle bistecche (meno 30%) e quello dei latticini che avrà un calo del 90%.

Noi non siamo contro il latte di mucca di per sé, ma i cambiamenti climatici e l’esigenza di produrre cibo in modo sostenibile vengono a dirci sempre più che gli allevamenti bovini così come sono oggi non possiamo più permetterceli: stressano troppo l’ambiente. D’altro canto, nuovi prodotti offrono concrete opportunità per un’alimentazione sana, per chi mangia, per l’ambiente e per le stesse aziende agricole che possono trovare nuovi àmbiti di sviluppo in nuovi prodotti. Con vantaggi per tutti. È questo, ad esempio, il caso del latte di piselli (in particolare quelli con pasta gialla). Al di là di mode o integralismi salutistici di qualunque genere, ecco cosa succede, alla luce del fatto che in tutti i Paesi occidentali, la sovralimentazione si abbina sempre di più alla malnutrizione infantile e giovanile: quasi un terzo dei nostri bambini sono obesi o in sovrappeso. Da tempo, infatti, la Pediatria ci sta avvisando del fatto che i nostri piccoli oggi soffrono di una vistosa carenza nell’assunzione di vitamina D: sostanza fondamentale per la fissazione del calcio e l’adeguata crescita delle ossa. Anche se a livelli diversi, le ultime statistiche ci informano che 6 bambini su 10 sono attualmente carenti di questa fondamentale vitamina.

La ragione risiede nel fatto che i bambini e gli adolescenti trascorrono troppo tempo dentro al chiuso, occupati nella maggior parte dei casi in attività sedentarie (guardare la tv, giocare con i telefonini o i videogiochi, ecc.), mentre dovrebbero invece passare più tempo possibile all’aria aperta: con la pandemia e le relative misure restrittive questo problema si sta ulteriormente aggravando. La vitamina D, infatti, viene sintetizzata direttamente dai raggi solari da una sostanza (il deidrocolesterolo) che si trova nella nostra pelle. Gli stili di vita familiari poi incidono moltissimo sulle abitudini dei bambini: il passaggio dall’alimentazione eccessiva e ipercalorica ai problemi sanitari (diabete, pressione alta e colesterolo alto), passando per lo scarso esercizio fisico, spesso li porta anche alla depressione e alla scarsa stima verso se stessi. Risulta evidente quindi che la lotta a questi rischi sanitari richiede l’individuazione di cibi altrettanto nutrienti rispetto a quelli di uso comune, tipo carne e latte di mucca. Per questo è necessario fornire loro del cibo buono, sano, semplice, gustoso e nutriente: magari che sia stato prodotto senza danneggiare o sprecare le risorse naturali.

Verso questa prospettiva, negli ultimi decenni la ricerca ha fatto passi da gigante: in particolare per quanto riguarda alimenti alternativi a quelli ottenuti con gli allevamenti di animali (inclusi formaggi e altri derivati). Soprattutto sul consumo eccessivo di carne e latte di mucca ottenuti da allevamenti intensivi (diverso è il discorso per gli allevamenti allo stato brado) si sono evidenziati molti fattori di rischio: sia per i bambini che per gli adulti.
Questi fattori, tra l’altro, coinvolgono anche le risorse limitate del nostro pianeta (l’acqua) e le tante alternative vegetariane che spesso si sviluppano più per una moda del momento che per motivi scientifici. Occorre sapere, infatti, che negli allevamenti intensivi si impiegano mediamente 700 litri di acqua per produrre un litro di latte di mucca. Anche i sostituti vegetali comunque non se la passano bene: per produrre un litro del costosissimo latte di mandorla, ad esempio, occorrono 75 litri d’acqua. Proprio queste valutazioni hanno portato un’azienda americana ad avviare un processo di produzione di un latte vegetale che per consistenza e gusto ha caratteristiche molto simili a quelle del latte vaccino: la differenza sta nel fatto che viene prodotto con i comunissimi piselli. Per la precisione, giova ricordare che per la legge in Europa si può chiamare “latte” solo quel prodotto che deriva dalla mungitura di animali, di solito mucche, pecore, capre senza alcuna aggiunta o sottrazione (regolamento UE n. 1308 del 20/12/2013).

Le prove di laboratorio hanno portato a risultati strabilianti anche rispetto agli altri tipi di bevande vegetali esistenti in commercio (soia, riso, avena, ecc.): quella ricavata dai piselli ha circa il 50% in più di calcio, minor apporto di calorie e metà dello zucchero contenuto nel latte di mucca. Contiene inoltre otto volte più proteine ​​rispetto al latte di mandorla e altri elementi (potassio, vitamine B1 e acido folico) che sono presenti nei prodotti animali. Buono anche l’apporto di omega-3: gli acidi grassi “buoni”, essenziali per un buon bilanciamento nutrizionale.
Per produrre questo tipo di latte, ottenuto con un semplice processo di raffinazione e cottura della parte bianca dei piselli, occorrono solo due litri di acqua: le bottiglie nelle quali è contenuto sono al 100% riciclabili. Quattro le versioni del prodotto: naturale, senza zucchero, al sapore di vaniglia o di cioccolato. «Noi non pretendiamo che la produzione di alimenti di origine vegetale possa salvare il pianeta – ha detto Adam Lowry, il titolare della società statunitense (Ripple Foods) che ha lanciato il latte di piselli alcuni anni fa –, ma crediamo che possiamo aiutarlo a mantenere i suoi equilibri naturali: anche le più piccole azioni possono avere conseguenze di vasta portata».
Significativo lo slogan scelto dall’azienda: “Siamo convinti che anche il battito di un’ala di farfalla è in grado di produrre un’onda di cambiamento e a noi piace sbattere le ali!”. Il latte ricavato dai piselli inizialmente è stato messo in vendita solo negli Sati Uniti, ma pian piano si sta diffondendo anche in altri paesi.

E non si tratta di quella che noi europei siamo abituati a declassare come una classica “americanata” stravagante. Da noi il comparto zootecnico è stato letteralmente messo in ginocchio da politiche europee miopi e antieconomiche. Gli allevatori di quasi tutti gli Stati membri dell’UE (complici anche le vicende tipo “mucca pazza”) sono stati impoveriti, costretti a dismettere le loro aziende, concentrando quasi l’intero settore in poche grandi industrie di produzione e macellazione. La produzione e il consumo su larga scala di cosiddetti “latti” vegetali è ormai una realtà in continua espansione, tanto che primarie aziende lattiero-casearie si sono messe a produrre questo genere di bevande riscontrando finora un gran successo. Un fenomeno così diffuso e significativo che queste bevande ricavate da legumi e cereali sono state inserite nei panieri che periodicamente analizzano i dai dei prezzi al consumo. Ora, sulla scorta della novità d’oltreoceano e di queste nuove tendenze alimentari, gli imprenditori agricoli potrebbero mettersi a coltivare piselli e per di più con minore pressione sull’ambiente e senza dover dipendere dal mais straniero, spesso e volentieri geneticamente modificato. E magari senza pesticidi, ricordando pure che i piselli, come tutte le leguminose, aiutano a fertilizzare i terreni.
Ecco perché le stime elaborate da Rethinkx appaiono molto realistiche: su questo studio molto interessante ci torneremo anche per illustrare gli impatti economici, sociali, ambientali e persino politici. Ma c’è infine anche un ultimo dato importante: per l’avvio della sua attività, l’azienda americana che ha lanciato il latte di piselli si è rivolta a quei piccoli investitori che sempre più numerosi oggi finanziano solo progetti di alto profilo etico e solidale: in pochissimo tempo sono stati raccolti oltre 12 milioni di euro. Le grandi industrie della produzione e macellazione di animali quindi hanno di che preoccuparsi per il loro futuro.

Leggi anche su questo sito:

Nutrizione e informazione manipolata

Il cibo come prima medicina preventiva contro lo “sfascio” alimentare

Curarsi con la dieta mediterranea

 

Tags: agricoltura biologicaalimentarsi benealimentazione e salute
Caroline Susan Payne

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