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Home Ambiente

Zero rifiuti, l’economia vincente è già tra noi

Il corto circuito dell’usa e getta e l'uso indiscriminato delle risorse sono ormai senza futuro

by Roberto Lessio
3 Novembre 2020
in Ambiente, Economia circolare, Nel Mondo, Rifiuti e spreco delle risorse
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Zero rifiuti, l’economia vincente è già tra noi
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Eliminare i rifiuti dalla faccia della Terra non è più un’utopia e il ricorso alle discariche e agli inceneritori sta ormai diventando un modo residuale per il loro smaltimento. In un’epoca di pandemia come quella che stiamo vivendo, ci sono molte buone notizie da far circolare e questa è sicuramente una delle più significative. Ad innescare questo processo di cambiamento è stata sicuramente la strategia “Zero Waste” (Rifiuti Zero), attivata oltre 30 anni fa dal Prof. Paul Connett, docente di Chimica e Tossicologia alla St. Lawrence University di New York, che di fatto è stato l’inventore dell’Economia Circolare. Una persona determinata e rivoluzionaria che in tutti questi anni ha girato in lungo e in largo il globo per spiegare alle comunità locali come attuarla. L’obiettivo era quello di garantire il recupero delle materie che quotidianamente finiscono proprio in discarica o negli inceneritori, proteggendo contemporaneamente dall’inquinamento i nostri beni comuni (acqua, aria, cibo, igiene, salute, ecc.). La strategia si basava sulla necessità di ridurre progressivamente la produzione di rifiuti non recuperabili e non riciclabili, fino a portarla a zero: da qui il suo nome. Contemporaneamente a tale riduzione dovevano salire sempre di più, fino ad arrivare al 100%, il riutilizzo, il recupero, il riciclo e il compostaggio dei materiali e delle materie arrivate alla fine del ciclo d’uso. Si sarebbe creato in questo modo un ciclo chiuso e virtuoso che avrebbe eliminato gli sprechi e creato occupazione. Per arrivare a questo obiettivo, sostanzialmente occorreva rispettare cinque fasi interconnesse tra loro, legate ad altrettante parole che iniziano con la lettera R.

La prima riguardava la collaborazione dei cittadini nel modificare le abitudini di consumo, stando bene attenti nel comprare quei prodotti che indicavano nell’etichetta la possibilità di essere riciclati. Questo era la l’obiettivo della prima R: riduzione. Come seconda fase, una volta acquistati solo i prodotti riciclabili (come una forma di premialità per chi li produceva) bisognava abituarsi a fare una raccolta differenziata fatta bene. Paul Connett su questo aspetto ha sempre usato un esempio molto calzante. E’ come quando laviamo i piatti: li laviamo insieme alle stoviglie, alle posate, alle tazze e ai bicchieri, ma una volta asciugati, a nessuno di noi verrebbe in mente di rimetterli alla rinfusa dentro un solo scomparto nell’apposito mobile in cucina: metteremo i piatti con gli altri piatti, le stoviglie con le altre stoviglie e via dicendo. Bastava far acquisire la stessa abitudine in famiglia con i rifiuti, soprattutto ai bambini, e i risultati si sarebbero visti in pochissimo tempo. E questa è la seconda R (riciclaggio) che, tranne qualche caso isolato nel pianeta (nella testa di Trump?) almeno a livello di consapevolezza generale può esser data per acquisita in tutto il mondo. Affinché tutto questo non andasse perduto però bisognava organizzare bene anche la terza e la quarta R (riutilizzo e recupero) affinchè i prodotti arrivati a fine consumo, gli imballaggi e la sostanza organica in particolare, tornassero al punto di partenza per ricominciare un nuovo ciclo produttivo. Anche queste fasi, che sostanzialmente sono confluite nel concetto dell’Economia Circolare, possono esser date per acquisite a livello di consapevolezza generale.

Mancava però fino a poco tempo fa all’appello la quinta R: responsabilità. Connett aveva teorizzato che il sistema industriale sarebbe stato costretto in primo luogo dalle scelte e dai comportamenti corretti dei cittadini a ripensare e riprogettare il modo in cui realizzavano e mettevano in commercio i propri prodotti (soprattutto quelli “usa e getta”), ma era evidente che questo non sarebbe bastato, come in effetti non è bastato. Perché mai i produttori avrebbero dovuto preoccuparsi della fine che fanno i loro prodotti a fine ciclo, quando la responsabilità del loro smaltimento ricadeva e ricade, per motivi di igiene pubblica, solo sulle amministrazioni locali? Questo punto debole della strategia “Zero Waste” è stato recentemente risolto dall’Unione Europea con l’approvazione del cosiddetto “pacchetto sull’Economia Circolare” che ha riformulato il concetto di Responsabilità Estesa al Produttore (ERP secondo l’acronimo inglese). In sostanza il sistema produttivo di ogni paese è stato investito direttamente della responsabilità di ridurre, riciclare, recuperare e riutilizzare tutti i rifiuti prodotti (nessuno escluso) dai propri cicli produttivi. Questa responsabilità riguarda sia aspetti finanziari che organizzativi, con sistemi di tracciabilità che deve essere attuata con registrazioni digitali ed elettroniche controllabili, anche on-line, direttamente dalle Autorità competenti. I decreti attuativi per il completamento della strategia promossa da Paul Connett 30 anni fa, almeno in Europa, sono diventati attuativi proprio in questo periodo di pandemia. Ma tutto ciò non costituisce per nulla un primato dei paesi europei e occidentali, a testimonianza del fatto che sono sempre i poveri ad avere le intuizioni migliori rispetto al modello economico sbagliato che li costringe a rimanere in quelle condizioni. La strategia “Zero Rifiuti” nel frattempo è stata attuata senza aspettare i governi ufficiali.

Molte comunità in giro per il mondo, si sono incamminate da tempo lungo questo interessante percorso di civiltà. Si tratta di tanti casi dove, da situazioni sociali, economiche e ambientali molto critiche, organizzandosi, spesso anche contro le politiche locali, i cittadini sono riusciti ad imporre una svolta politica basata sulla propria partecipazione e sulla consapevolezza che si può e si deve smettere di sprecare le risorse, come ancora facciamo, senza alcuna lungimiranza. In tutte queste esperienze di Rifiuti Zero si è riscontrato che lo stipendio medio mensile degli addetti alla raccolta, soprattutto donne, è al di sopra del salario minimo di altri lavori simili. Quasi sempre si tratta di povera gente che è riuscita in tal modo a riscattare la propria dignità. Per tale motivo la loro base motivazionale nel convincere la popolazione a collaborare è stata altissima. Ne riparliamo in un prossimo articolo su questo sito. Le notizie buone, anche in questo funesto periodo e in questo funestato settore, non mancano e siamo contenti di potervele comunicare.

Tags: economia circolarerifiutispreco delle risorse
Roberto Lessio

Roberto Lessio

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  1. Pingback: Dare un futuro ai rifiuti: le strategie per un’economia circolare – Natura e Futuro
  2. Pingback: Ricavare oro e metalli preziosi dalle discariche con la Natura – Natura e Futuro

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