Lo schermo del vostro cellulare rotto e pieno di crepe che torna ad essere come nuovo premendo un pulsante della tastiera; lo pneumatico che ottura da sé la foratura; il paraurti ammaccato che torna alla sua conformazione iniziale; o lo strappo sul nostro vestito preferito che scompare in pochi istanti. Sembrano scene da film di fantasia o magie alla Harry Potter. Ma sono nuovi materiali con tanto di brevetto.
COPIARE LA NATURA
La tecnologia di base, assai complessa, grosso modo copia ciò che avviene nei corpi umani e animali quando “riparano” i danni da ferite, tagli, escoriazioni e fratture: il nostro organismo innesca automaticamente dei meccanismi di auto-ricostruzione. Se ci feriamo, ad esempio, la fuoriuscita del sangue permette alle piastrine di produrre la coagulazione e, con la cicatrizzazione, si riformerà il nuovo tessuto cutaneo. Proprio questo processo naturale ha ispirato gli scienziati di tutto il mondo e ha già reso possibile, nelle costruzioni, realizzare edifici antisismici a “memoria di forma” – che riprendono la loro forma originaria dopo forti sollecitazioni – e cemento auto-riparante.
POLIMERI SALVA-OGGETTI
I ricercatori dell’Università dell’Illinois (USA) guidati dal Prof. Scott White, già nel 2014 hanno realizzato una plastica in grado di riparare automaticamente buchi e fratture di oggetti composti da polimeri strutturati. Recentemente altri ricercatori dell’altra prestigiosa Università statunitense di Harvard, hanno ulteriormente sviluppato questo tipo di materiali, che in prospettiva potrebbero limitare enormemente la produzione di rifiuti: sono realizzati con legami reversibili, che fanno tornare l’oggetto nella forma originale quando lo stress è terminato.
IL GEL “MAGICO”
Il meccanismo funziona abbinando due liquidi plastificanti: uno mantiene rigida la struttura del materiale, l’altro fuoriesce dai capillari della struttura stessa in caso di rottura. Quest’ultimo è una sorta di gel che va a riempiere tutti i buchi e le fratture. Una volta indurito e solidificato il gel, la struttura recupera la resistenza meccanica e torna nella sua funzionalità originaria. I campi di applicazione sono potenzialmente infiniti, anche alle fibre di carbonio usate in àmbito automobilistico, aereonautico e sportivo. Non a caso i primi sviluppi di questa tecnologia rivoluzionaria sono avvenuti nel settore aereospaziale, dove il rischio di danneggiamento dei satelliti e dei piccoli problemi a bordo delle navette possono far fallire le missioni spaziali, con ingenti perdite finanziarie.
LA SFIDA: SUPERARE L’USA E GETTA
Tali “magie” però non è detto che diventino realtà. Evitando così di dover smaltire e di comprare di nuovo un oggetto danneggiato, è facile intuire le conseguenze di carattere economico ed ecologico che potrebbero avere questi materiali futuristici. Il problema del loro eventuale sviluppo sta proprio qui: quale interesse potrebbero avere i produttori di pneumatici, ad esempio, a realizzare un sistema economico in cui nessuno avrà bisogno in futuro di pneumatici nuovi, tranne che per sostituzione da usura?
Se gli oggetti non sin rompono più, se ne vendono molti di meno.
BUSINESS DEI RIFIUTI… E MAFIE
E quale tipo di reddito potrebbero ottenere le aziende che si occupano del loro smaltimento, magari attraverso il cosiddetto “recupero energetico”, ossia bruciandoli negli inceneritori? Cosa gli facciamo fare alle tante mafie che, grazie alla zona d’ombra politica che da sempre le protegge, gestiscono questo tipo di smaltimenti e di affari? Basta constatare come è andata avanti fino ad oggi l’economia mondiale, basata sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse limitate. Oppure l’obsolescenza precoce e programmata dei beni di consumo, tesa a creare consumi e rifiuti. Non è facile, ma è possibile e ormai irrinunciabile cambiare rotta.
LA SVOLTA POSSIBILE
Le imprese del futuro, in un’ottica di economia circolare, dovranno produrre un servizio equo e compatibile per i cittadini, invece di costringerli a possedere cose da gettare dopo il primo, insignificante, incomprensibile incidente. Ogni volta che si butta via qualcosa, soprattutto se contiene materie prime rarissime (tipo gli smartphone) occorre reperire quelle materie all’origine, senza le garanzie di ritrovarle e di poterle comprare allo stesso prezzo. è un problema di costi, che per loro natura tendono all’infinito e perciò risultano insostenibili nel medio–lungo termine. Gli oggetti che si riparano da soli invece vanno nella direzione opposta e il guadagno per le imprese sta nella garanzia che questo accada effettivamente. Si chiamano “sistemi di recupero del valore” prodotto con il lavoro: si gestisce il servizio invece che creare sistematicamente un problema al cliente per vendergli cose nuove.
I PROFITTI CI SAREBBERO LO STESSO
Guadagna di più quell’impresa che gestisce meglio il servizio. In attesa di tutto ciò, sarebbe opportuno, sempre nell’ottica dell’economia circolare, che le stesse imprese imparassero e incominciassero a realizzare prodotti facilmente riparabili, riutilizzabili e riciclabili. Alcune per la verità già lo stanno facendo, è il caso ad esempio della cooperativa inventata da una ragazza di Verona di cui parliamo a pag. 47. Insomma, fare una cosa buona e giusta, al posto di una cosa iniqua e inservibile ai destini di tutti noi e delle future generazioni.
La tagli e si riattacca
Basta rimettere i pezzi uno attaccato all’altro – ma senza alcun collante – e l’oggetto gommoso tagliato in due ritonra integro e resistente. È Terminator, il polimero realizzato in Spagna dai ricercatori del CIDETEC con materiali facilmente reperibili sul mercato e poco costosi. Un altro materiale che si ripara perfettamente dopo essere stato tagliato, lo ha creato un team dell’Università della Pennsylvania (Usa) e dell’Harbin Institute of Technology (Cina): fatto con nitruro di boro, resiste all’umidità, è elastico e resistentissimo, può contenere anche connessioni elettroniche riparando anch’esse, è utilizzabile per i pannelli solari, sensori impiantabili e vestiti.