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Home Bene comune

Passare dalla protesta alla proposta: il caso australiano

Un nuovo modello organizzativo del volontariato sovverte le scelte dettate dalle lobby

by Roberto Lessio
21 Ottobre 2020
in Bene comune, Cambiare si può, Emergenza climatica, Energie rinnovabili, Gli esempi da seguire, Informazione, Potere dal basso
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Passare dalla protesta alla proposta: il caso australiano
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I movimenti di protesta sull’emergenza climatica chiedono un rapido e drastico cambiamento delle politiche energetiche basate sui combustibili fossili. Soprattutto i giovani dei Fraiday For Future ci mettono tanto entusiasmo, passione ed energie e questo è un fatto molto importante affinché le scelte da compiere non rimangano appanno di pochi politici e delle lobby che li appoggiano. Ma se queste energie venissero incanalate verso i progetti che si vogliamo realizzare, senza delegare altri, piuttosto che impegnarle solo per fermare ciò che non vogliamo, cosa succede? Questa è la domanda che si sono poste le organizzazioni di volontariato australiane (associazioni ambientaliste, enti di beneficenza, gruppi di azione locale, ecc.) che si occupano dei cambiamenti climatici. Così hanno deciso di creare una campagna propositiva, chiamata #Repower e pensata appositamente per dimostrare i benefici della sostituzione totale dei combustibili fossili con le energie rinnovabili. Allo stesso tempo si punta a costruire un potere dal basso con il quale le persone possono accelerare la conversione alle fonti rinnovabili in tutto il paese da parte delle aziende, dei governi locali e delle singole famiglie. In sostanza, come dice uno dei loro slogan, puntare a produrre energia pulita per tutti con impianti di proprietà delle persone e delle comunità. Si tratta di obiettivi che all’inizio sembravano poco realistici, visto che l’Australia tutt’oggi è il quarto produttore al mondo di carbone e che l’energia in quel paese è sempre stata ottenuta con grandi impianti che utilizzando soprattutto questa fonte. In Australia ci sono 23 grandi centrali elettriche a carbone che secondo gli esperti del settore dovrebbero essere chiuse entro il 2050: “troppo” tardi sostengono quelli di #Repower che hanno così deciso di intensificare e unificare le iniziative già avviate negli anni passati dalle singole organizzazioni. Infatti la reazione delle società energetiche che utilizzano ancora le vecchie e inquinanti fonti energetiche fossili non si è fatta attendere. Queste aziende, come del resto avviene in tutto il mondo, controllano da sempre con i mass media e le scelte della politica. Non a caso la parte più conservatrice della coalizione di governo nazionale, avevano chiesto che l’Australia si ritirasse dall’Accordo sul Clima siglato a Parigi nel dicembre 2015, oltre ad abolire i sussidi statali alle energie rinnovabili, mettendo in difficoltà il primo ministro Scott Morrison che poi in parte le ha dovute accogliere. L’iniziativa del movimento #Repower quindi, sembrava destinata ad un sicuro insuccesso.

Senonché negli ultimi anni quello australiano è stato il paese che più ha dovuto pagare “sulla sua pelle” i cambiamenti climatici in corso, con estati caratterizzate da intense ondate di caldo, incendi boschivi, siccità, inondazioni e tempeste. Di conseguenza gli australiani hanno dovuto prendere atto per primi che il loro modo di vivere sarebbe stato completamente stravolto dal riscaldamento globale.

La scintilla che ha fatto scatenare la reazione della popolazione è stata la proposta del gigante minerario Adani di costruire la più grande miniera di carbone nella storia australiana nella regione del Queensland centrale. Un progetto al quale si sono opposti, come si vede in questa foto qui a sinistra, anche gli aborigeni: le popolazioni native di quel continente. E’ nata così l’iniziativa  #StopAdani, che in breve tempo è divenuta la più grande e importante campagna combattuta in quel paese per contrastare e combattere gli attacchi di parte del governo e della potente lobby del carbone. Questi attacchi si sono concentrati proprio nel Queensland e nello stato di Victoria: due dei sei stati che, con la Tasmania, compongono l’Australia. Questi stati sono andati al voto nel rispettivamente nel 2017 e nel novembre 2018 per il rinnovo dei rispettivi parlamenti locali. In entrambi i casi hanno vinto i partiti che hanno sostenuto le battaglie sui cambiamenti climatici (laburisti e verdi in particolare) con una schiacciante sconfitta per i partiti che sostenevano in coalizione il governo nazionale (liberali e nazionalisti).

Le lobby del settore hanno cosi capito che c’era poco da scherzare ed immediatamente hanno scatenato la reazione proprio nei distretti ricchi di risorse minerarie, attuando un’autentica guerra mediatica sulle nefaste conseguenze economiche ed occupazionali che il passaggio dal carbone alle energie rinnovabili avrebbero determinato. La guerra ha raggiunto il suo scopo perché a sorpresa, malgrado tutti i sondaggi la davano indietro negli ultimi tre anni, nelle elezioni parlamentari del 2019 la coalizione del primo ministro Scott Morrison ha ottenuto nuovamente la maggioranza nella Camera dei Rappresentanti con 3 voti di scarto. Raccontano le cronache che la coalizione ha beneficiato di una inattesa performance del Partito Nazionale Liberale proprio nel Queensland i cui elettori avevano votato in massa per la lotta ai cambiamenti climatici nelle precedenti elezioni. Ma siamo solo all’inizio perché il nuovo approccio alla politica attuato dal movimento #Repower, passando dalla protesta alla proposta, ha messo al centro dell’attenzione un tema del quale le lobby energetiche che stanno massacrando il clima di questo pianeta, non volevano neanche sentir parlare. E questo i cittadini australiani, a prescindere dalla parte in cui si sono schierati lo scorso anno, lo hanno capito benissimo.

Tags: bene comunecambiamenti climaticicambiare si puògli esempi da seguirepotere dal basso
Roberto Lessio

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